Sono giornalista pubblicista e mi occupo di ricerca storica, con particolare interesse per la cultura e le tradizioni della Maremma. Laureata in Scienze Politiche e in Storia Moderna, ho completato il corso quadriennale dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e proseguo gli studi teologici. Comunicatrice ambientale dal 1998, ho partecipato alla pubblicazione di guide turistiche della provincia di Grosseto. Collaboro con il mensile Maremma Magazine, un periodico di informazioni turistiche e culturali, e dirigo Val d' Orcia Terra d’eccellenza, una rivista che si occupa di arte, cultura e benessere nella valle senese patrimonio dell’UNESCO. Ho curato i testi dell’opuscolo informativo -Un Ministero per l'Ambiente- del Ministero dell'Ambiente.

Ettore Socci

Repubblicano convinto, democratico e massone, ma soprattutto grande galantuomo, fu apprezzato anche dai nemici, contrari alle sue idee, mai all’uomo. Si dedicò al miglioramento materiale e morale della Maremma e alla difesa dei più deboli.

C’ERA LA MAREMMA NEL CUORE DI ETTORE SOCCI

Il filosofo buono, il soldato della pace, l’oratore degli umili. Tante le definizioni coniate per Ettore Socci, descritto come un tipico rappresentante della toscanità, con la sua fronte alta, la faccia aperta, gli occhi chiari e limpidi e quel suo corpo così grande da non poter accogliere sentimenti piccoli e piccole meschinità. Un uomo tutto d’un pezzo, che già cento anni fa era considerato uno all’antica, per quel suo insistere sull’importanza dell’educazione e la moralità politica, per le sue invettive contro lo sfruttamento delle donne e dei bambini, per i suoi appelli alla patria, all’onore e alla dignità personale. Non solo concetti astratti per lui, che improntò la sua vita all’onestà, alla lealtà e a una quasi ingenua pulizia morale, che unite a un nobile spirito, ribelle ad ogni ingiustizia, lo resero “stimato e voluto bene” anche dagli avversari. Giovanissimo iniziò a lottare per i suoi ideali e ovunque scorgesse “una causa giusta e santa da sostenere, Ettore Socci, o con la spada o con la parola o con la penna strenuamente la sostenne”. Nato a Pisa nel 1846, si trasferì presto a Firenze, dove completò gli studi e divenne amico, e seguace, dei più famosi patrioti, che fecero del capoluogo toscano, dal 1865 capitale d’Italia, il punto di convergenza di tutti i movimenti nazionalisti. Aderì presto agli ideali garibaldini e, ventenne, combatté a Condino contro l’Austria. Nel 1867 partecipò come volontario alla spedizione di Mentana, che rimase nel suo ricordo come “una delle più fantastiche e sorridenti visioni”, sempre fiero di aver fatto parte di “quella baraonda di gente, capitata da ogni parte d’Italia” in cui “incrociavansi tutti i dialetti”. Un esercito di ragazzi che, abbigliati con vestiti di varie fogge e colori, apparivano più come una banda di straccioni che come cavalieri di un ideale. Dopo questa campagna tornò a Firenze dove iniziò la sua carriera di giornalista, che interruppe solo nel 1870 per partecipare alla memorabile campagna di Digione accanto all’esercito francese. Furono gli anni delle lotte aspre e inebrianti, ai quali seguirono quelli del dolore: due anni di prigionia e ben quindici processi di cui uno, per cospirazione e internazionalismo, celebrato nel 1875 alla Corte d’Assise di Firenze, vide sfilare tra i testimoni un Giuseppe Garibaldi che, ormai anziano, difese con forza il suo pupillo: “Giudico Socci onestissimo quanto prode sui campi di battaglia. Quanto alle sue opinioni politiche credo che sien quelle di ottenere un miglioramento della patria comune”. Numerose furono le attestazioni di stima ricevute, ma si fregiò anche di importanti riconoscimenti ufficiali, dei quali peraltro non fece mai parola con nessuno, con l’umiltà di chi considera “qualunque azione volta al bene come un dovere, o come sacrificio dovuto alla patria”. Per questo anche nella campagna di Francia volle rimanere soldato semplice, per questo non rivelò di essere stato nominato “benemerito della città” dal Municipio di Firenze, dopo la terribile alluvione del 1872. E quando la repubblica francese lo fregiò della “Croce della Legione” per il suo coraggio in battaglia, il documento che attestava il conferimento fu trovato nella carta straccia dalla sua padrona di casa. Come non lo inorgoglirono encomi e onorificenze, così non si lasciò mai abbagliare dalle lucrose offerte ricevute da importanti riviste italiane e straniere, e fedele agli insegnamenti del suo maestro Garibaldi, che “una lira al giorno e una carabina devono bastare ad ogni italiano”, si accontentò di lavorare per giornali che “appena gli davano di che vivere modestamente”. Né la situazione cambiò quando nel 1892, dopo aver ceduto controvoglia alle insistenze per la sua candidatura, divenne infine deputato della Maremma, infatti “come lo trovò sempre povero il giornalismo, doveva trovarlo sempre povero la Camera italiana”. Da allora Socci, deposta ormai la spada, ma usando abilmente parola e penna, continuò a combattere con l’ardore di sempre. Pur continuando il suo lavoro di poeta, romanziere, giornalista e oratore, condusse un’instancabile attività in Parlamento, presentando disegni di leggi sulle terre incolte, sulle otto ore di lavoro, il riordinamento degli archivi notarili, la pensione ai mandriani, l’autorizzazione al matrimonio per le telegrafiste, e per l’ammissione delle donne all’esercizio dell’avvocatura. Questa legge, approvata nel marzo 1904, ebbe contrari quasi tutti gli avvocati della Camera. Combatté inoltre battaglie sulla scuola, il suffragio universale e la corruzione elettorale, le condizioni dei detenuti, il riconoscimento della paternità per i bambini abbandonati. Ma l’opera più speciale fu quella che riservò alla sua “adorata Maremma” che lo ricorda soprattutto per la fine dell’estatatura, un “marchio che segnava sinistramente” la città di Grosseto. La sua abolizione, nel luglio 1897, gli valse il conferimento della cittadinanza grossetana, che egli accettò onorato, affermando che avrebbe fatto il possibile per mostrarsene degno. Il suo compito di parlamentare continuò per cinque legislature e nei tredici anni di impegno politico non fu mai assente a una seduta della camera. La sua ultima elezione, nel novembre 1904, fu un vero plebiscito per Ettore Socci che, dichiarandosi superbo di aver rappresentato i figli di questa “terra gentile”, si augurò che i suoi elettori potessero trovargli un successore che amasse la Maremma come lui. Nel luglio dell’anno successivo Ettore Socci morì a Firenze, “povero e allo spedale”, come lui stesso aveva predetto. I grossetani vollero ricordare il loro difensore erigendogli la statua che ancora si trova nella piazza a lui dedicata.
Il monumento, inaugurato il 24 novembre 1907, è così somigliante che pare che l’artista, suo amico, abbia “voluto più che farne il ritratto, tornare a conversare con lui”. Ormai il “vecchio leone”, come lo chiamava affettuosamente Giosuè Carducci, aveva smesso per sempre di lottare.

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