Sono giornalista pubblicista e mi occupo di ricerca storica, con particolare interesse per la cultura e le tradizioni della Maremma. Laureata in Scienze Politiche e in Storia Moderna, ho completato il corso quadriennale dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e proseguo gli studi teologici. Comunicatrice ambientale dal 1998, ho partecipato alla pubblicazione di guide turistiche della provincia di Grosseto. Collaboro con il mensile Maremma Magazine, un periodico di informazioni turistiche e culturali, e dirigo Val d' Orcia Terra d’eccellenza, una rivista che si occupa di arte, cultura e benessere nella valle senese patrimonio dell’UNESCO. Ho curato i testi dell’opuscolo informativo -Un Ministero per l'Ambiente- del Ministero dell'Ambiente.

26 aprile 1943, pioggia di bombe su Grosseto


I primi mesi del 1943 segnarono un mutamento radicale nell’andamento della guerra e nel ruolo che l’Italia si trovò a rivestire nelle vicende ad essa legate.
Le deludenti prestazioni delle forze militari italiane, impegnate sui fronti  russo e africano, avevano minato la fiducia nel regime e cancellato la speranza di vincere una guerra, che appariva ormai come una scelta unilaterale del governo, non più condivisibile, né sostenibile.
Questo stato di prostrazione psicologica era appesantito dagli effetti di un’economia allo sbando, di cui la popolazione subiva le conseguenze più dure: il razionamento dei viveri, il mercato nero e, spesso, la fame.
I primi a ribellarsi a questo stato di cose furono gli operai di alcune delle più importanti fabbriche del nord, che nel marzo entrarono in sciopero paralizzando le industrie di Genova, Milano e Torino.
Nel febbraio Roosvelt e Churchill si erano incontrati a Casablanca, dove decisero di organizzare al più presto lo sbarco angloamericano in Sicilia e adottarono la formula della “resa incondizionata” dell’Italia e dei suoi alleati.
La sconsolante congiuntura economica e politica provocava disagi molto gravi alla popolazione,
ma la vera guerra in città non esisteva, e veniva percepita per lo più attraverso le notizie diramate
dagli organi del regime, inevitabilmente addolcite e manipolate per fini propagandistici.
Da noi il fronte sembrò avvicinarsi, repentino e spaventoso, solo nella primavera del ’43, quando un carico di terrore e morte si abbatté su Grosseto.
Era il lunedì di Pasqua e la giornata era iniziata con una densa nebbia, che, dissoltasi nella tarda mattinata, lasciò il posto ad un sole splendente.
Nei minuti immediatamente seguenti il pur modesto pranzo festivo, una parte della città era assopita, in attesa di uscire di casa, per godersi le ore calde di quel pomeriggio di festa, magari sulle rive dell’Ombrone, mentre intere famiglie e gruppi di amici si erano riversati nelle piazze e nelle strade del centro per la classica passeggiata.
Poco dopo le quattordici il silenzio fu squarciato da un rumore assordante, che molti non riuscirono subito a identificare.
Seguirono pochi attimi di sbigottimento, poi la realtà si mostrò in tutta la sua crudezza: una fitta pioggia di bombe si stava rovesciando sulla città.
Nessun allarme aveva avvisato del pericolo incombente, forse per la vacanza concessa agli impiegati, e la gente accorse scompostamente verso i rifugi sotto i bastioni delle mura. Molti si salvarono, ma per tante, troppe persone non ci fu scampo.
Dovunque si ripeterono le stesse scene di dolore e morte, nel centro storico e nella periferia della città, ma l’episodio più atroce e raccapricciante si verificò in piazza De Maria, dove alcuni bambini trovarono la morte mentre giravano sui piccoli animali di una giostra, allestita nel parco dei divertimenti.
I soccorsi furono frenetici, mezzi di ogni tipo furono utilizzati per trasportare i feriti all’ospedale e tutti si prodigarono per dare una mano. Le vittime accertate furono circa centocinquanta, i feriti alcune centinaia.
Anche il vescovo della Città Paolo Galeazzi si recò sul luogo della tragedia, per dare a tutti una parola di consolazione e per benedire i defunti.
Intanto la rabbia di alcune persone, duramente colpite negli affetti più cari dalla furia delle bombe, si sfogò in un tentativo di linciaggio di due piloti americani abbattuti.
Quello su Grosseto fu il primo bombardamento effettuato sull’Italia centrale.
Bersaglio del fuoco alleato doveva essere l’aeroporto militare nei pressi della città, ma è più di un semplice sospetto che gli americani abbiano colpito intenzionalmente Grosseto e i suoi abitanti.
L’episodio ebbe un’eco nazionale e forse questo fu il motivo per cui il 27 aprile, senza alcun preavviso, giunse a Grosseto il re Vittorio Emanuele III, che si recò in visita all’ospedale.
A distanza di quasi un mese, il 20 maggio, gli americani colpirono effettivamente, e con precisione millimetrica, l’aeroporto Baccarini. Il numero delle vittime fu esorbitante: circa milleseicento, nella quasi totalità militari tedeschi che vi prestavano servizio.
In città, dove pian piano era ripresa la vita di tutti i giorni, non si ebbero vittime, né danni.
Ma altre incursioni dovevano sconvolgere la vita della popolazione civile, infatti il 21 luglio un forte bombardamento distrusse molte case del centro e ancora la notte di ferragosto l’aeroporto venne bersagliato per una quarantina di minuti dal fuoco alleato.
Il 9 settembre, il giorno successivo alla firma dell’armistizio, un nuovo attacco costrinse gli abitanti a passare la notte nei rifugi e solo al mattino fu possibile valutare l’entità dei danni, che furono enormi, soprattutto nella zona intorno alla stazione.
Tra l’ottobre e il novembre si registrarono ancora quattro incursioni aeree l’ultima delle quali, la dodicesima, colpì i centri culturali della città: la quasi totalità delle scuole fu distrutta, come pure l’Archivio Diocesano e il Museo d’Arte Sacra, mentre il Museo e la Biblioteca comunale subirono danni enormi.
La vita in città divenne davvero difficile. Molte persone non avevano più una casa, non c’era acqua né luce e anche i viveri scarseggiavano.
In più i continui bombardamenti, con i lutti che ne erano derivati, avevano provocato un senso generale di insicurezza e gettato gli animi nello sconforto.
Così, iniziò il massiccio sfollamento dei residenti in città, che, caricate le povere cose rimaste e affrontando molti disagi, si diressero verso i paesi sparsi per la provincia, presso parenti o amici. Questo fenomeno fu davvero consistente, se è vero che circa l’85% della popolazione vi prese parte.
Intanto lo sfacelo politico e militare popolò le campagne di altre persone, che con motivazioni diverse cercavano un riparo sicuro.
Da allora si aprì un altro capitolo, che, comunque lo si voglia definire, fu ancora guerra.

Pubblicato su Maremma Magazine
Copyright Maremma Magazine

Contatto

Nome

Email *

Messaggio *