Sono giornalista pubblicista e mi occupo di ricerca storica, con particolare interesse per la cultura e le tradizioni della Maremma. Laureata in Scienze Politiche e in Storia Moderna, ho completato il corso quadriennale dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose e proseguo gli studi teologici. Comunicatrice ambientale dal 1998, ho partecipato alla pubblicazione di guide turistiche della provincia di Grosseto. Collaboro con il mensile Maremma Magazine, un periodico di informazioni turistiche e culturali, e dirigo Val d' Orcia Terra d’eccellenza, una rivista che si occupa di arte, cultura e benessere nella valle senese patrimonio dell’UNESCO. Ho curato i testi dell’opuscolo informativo -Un Ministero per l'Ambiente- del Ministero dell'Ambiente.

LEOPOLDO II, L’ULTIMO GRANDUCA


 Leopoldo II per Grazia di Dio Principe Imperiale d’Austria, Principe Reale di Ungheria e di Boemia, Arciduca d’Austria, Granduca di Toscana, in una parola: Canapone.
L’irriverente, ma affettuoso nomignolo con cui si ricorda l’undicesimo Granduca degli Asburgo-Lorena, e che deriva dall’incerto colore giallognolo della sua capigliatura, non è l’unico, né potrebbe esserlo, data la famosa vena sarcastica e dissacratoria che contraddistingue la gente di Toscana.
Un’altra particolarità estetica gli valse il soprannome “il Broncio”: il labbro inferiore prominente, il cosiddetto labbro asburgico, gli dava un’aria un po’ scocciata che evidentemente non sfuggì al popolo.
Ma il Granduca fu detto anche “il Babbo”, appellativo che certamente meritò per quella tipica consuetudine granducale di  trattare i sudditi con la stessa attenta e amorevole autorevolezza di un buon padre di famiglia.
Leopoldo II salì al trono granducale il 23 giugno 1824, subito dopo la morte del padre, Ferdinando III, avvenuta per un improvviso quanto incontrollabile “male”, che nel volgere di pochi giorni lo portò alla tomba.
La prematura e repentina scomparsa del predecessore, ancora giovane e in perfetta salute prima che l’inarrestabile febbre lo attaccasse, colse impreparato il non ancora ventisettenne principe, e non solo in senso figurato.
Fino a quel momento, infatti, era stato tenuto all’oscuro delle “cose di governo”, come era previsto per l’erede al trono. La sua inesperienza e la mancanza di una formazione specifica  sui complessi meccanismi che regolano la conduzione dello stato non fu senza conseguenze per il buon Canapone, che si apprestava a governare in un periodo denso di fermenti e conflitti che sarebbero sfociati in veri e propri capovolgimenti.
In realtà Leopoldo non si sentiva a proprio agio nel ruolo che suo malgrado ricopriva, e più di una volta aveva chiesto di essere istruito in maniera adeguata, in vista degli importanti compiti che inevitabilmente si sarebbe trovato ad assolvere in futuro. Ma ottenne soltanto il permesso di leggere le memorie che il nonno, il grande Pietro Leopoldo, sul punto di abbandonare la Toscana per ricevere la corona di Imperatore, aveva lasciato al suo successore.
Le indicazioni contenute nelle memorie furono condivise dal giovane erede che, quando giunse il suo momento, seguì fedelmente le linee guida tracciate dall’augusto avo, che gli aveva trasmesso, oltre ai precetti, anche un grande, incontenibile amore per la Toscana, l’amata, la bella, la sua “Toscanina”.
E a imitazione del nonno si recò di persona in tutti gli angoli del Granducato, instancabile, unicamente “mosso dal desiderio di accrescer lustro e prosperità alla sua diletta Toscana”.
Per più di un ventennio le regole del “Buon Governo di famiglia” dettero frutti succulenti: riforme nei settori catastale, giudiziario e universitario, costruzione di ferrovie, crescita dell’industria, soprattutto manifatturiera e mineraria, anche se il cavallo di battaglia di Canapone fu l’agricoltura, che egli considerava diretta derivazione dell’ordine della natura voluto da Dio, primaria fonte della vita e unica “madre” dell’economia.
Alla politica agricola sono legati i lavori di bonifica, tra cui spiccano quelli intrapresi in Maremma, altro grande amore del Granduca che, appena salito al trono, “rivolse uno sguardo benevolo verso la porzione più infelice e nel tempo stesso più seducente e produttiva del Granducato”.
“Vivesse Maremma, io morrei contento”, aveva esclamato il Granduca. E, per quanto non risolutivi, i poderosi interventi di bonifica, costati circa 20 milioni,  dettero davvero una mano alla rinascita e quindi alla vita di questa terra. I maremmani nel 1846 innalzarono in suo onore una “statua che ergesi nella principal piazza di Grosseto (e) rappresenta Leopoldo II nell’atto in cui conforta, risana e vivifica la derelitta Maremma”.
Le cose cambiarono quando, il 28 luglio 1849, dopo un soggiorno di pochi mesi a Gaeta, dove si era rifugiato in seguito ai moti rivoluzionari del quarantotto, rientrò a Firenze.
Da allora il mutato clima politico interno e le crescenti pressioni dell’Austria lo resero sempre più diffidente, spingendolo a una svolta in senso reazionario: tra il 1850 e il 1852 ritornò a grandi passi verso un regime assolutista, fino all’abolizione dello Statuto che aveva concesso nel 1848, forse costretto, più che convinto, dagli eventi.
La ferma opposizione alle istanze popolari, in omaggio al motto paternalista “nulla dal popolo, ma tutto per il popolo”, doveva risuonare strana  proprio mentre si andavano affermando con sempre maggiore insistenza, anche tra i buoni toscani, le aspirazioni democratiche e nazionalistiche.
L’incapacità di adeguarsi a una realtà in rapido mutamento condannò a morte l’istituzione granducale e all’esilio il suo rappresentante, che lasciò la Toscana dicendo“ella sa che sino alla fine io l’ho amata”.
Standole lontano Leopoldo conservò sempre in cuor suo la speranza di tornarvi, attanagliato da una grande nostalgia, soprattutto quando “già le tempeste invernali ci cingono, i giorni sono brevi e sempre più si pensa la bella Toscana”.
Ma lei ormai apparteneva a un altro tempo, a un altro Regno, a un’altra storia.

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