“Il Ribelle”, l’ultimo libro di Alfio Cavoli, pubblicato per i tipi di Stampa alternativa nel gennaio 2007, ha come sottotitolo “Storia di Luciano Bonaparte Principe di Canino”. Citando l’ormai famosa battuta di manzoniana memoria alcuni potrebbero chiedersi: chi era costui?
Sì, perché a dire il vero i manuali di storia sono decisamente avari per quanto riguarda le notizie su questo particolarissimo personaggio, mentre molte pagine, e molte, molte parole sono state spese per il piccolo grande Napoleone, per il quale citare il cognome è diventato superfluo e che è addirittura noto semplicemente come “N”.
La vita di Luciano, che ebbe la (s)fortuna di nascere nella famiglia còrsa dei Buonaparte che, alleggerita della “u”, segnò il destino e la storia di mezzo mondo, è stata finora relegata in documenti e in testi di difficile reperimento e consultazione che, fortunatamente per noi, sono stati portati alla luce dallo storico maremmano.
Il racconto che l’autore ne ha tratto corre su più piani, toccando le vicende familiari, gli affari di stato, la grande storia delle guerre e quella piccola dell’intimità, mettendo in ordine questioni politiche intricate, destini che si incrociano, persone che nascono e muoiono, e che segnano nel bene e nel male la vita di molte nazioni nel periodo che si snoda tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX.
La figura che si forma pagina dopo pagina è ricca di sfumature, luci e ombre di una persona che, nell’ansia di fare a modo suo, sfugge a tutte le regole, finendo per rifiutare non solo quelle imposte, peraltro senza successo, dal fratello dispotico, ma anche quelle più comuni del vivere sociale o dettate dal semplice buonsenso.
Un ribelle contro l’arroganza del potere, incarnata dal fratello maggiore Napoleone, ma anche un uomo che cercando di divincolarsi da un legame che rischiava di soffocarlo, ha forse creduto di vivere libero. La vicenda del giovane Luciano inizia il 21 marzo 1775, ad Ajaccio, dove nasce non come principe, ma come settimo figlio, e terzo vivente, della coppia formata da Carlo Maria Buonaparte e Maria Letizia Ramolino, che in tutto generarono quattordici bambini.
Una famiglia borghese, con una situazione economica non proprio brillante, come del resto era inevitabile dato l’elevato numero di bocche da sfamare e le non cospicue rendite derivanti dalle modeste proprietà.
Ben presto Luciano mostra di aspirare a una più alta posizione sociale e fin da giovane mette in atto tutte le strategie possibili, comprese alcune non proprio ortodosse, per risollevare la sua posizione sociale e soprattutto le sue finanze, da un anonimato che non gli si addiceva.
Si batte inoltre per scrollarsi di dosso la pesante intromissione nelle sue scelte operata da Napoleone, che ben presto inizia a dettar legge in famiglia con l’aria di chi si sente padrone di tutto.
Dati il suo grande amore per la libertà e il suo convinto rifiuto di ogni forma di dispotismo, compie una scelta di campo ben chiara, abbracciando la causa dei sanculotti e sostenendo le istanze repubblicane. Poco più che diciottenne, si identifica così tanto con l’uccisore del tiranno Cesare da imporsi il nome “Brutus”.
Aveva stretto intanto rapporti esclusivi con Pasquale Paoli, un “tribuno del popolo” amico della famiglia Buonaparte e convinto assertore dell’autonomia della Corsica dal governo francese. A soli sedici anni diventerà segretario del grande separatista.
La sua precoce e fulminante carriera politica inizierà proprio da qui, per poi proseguire inarrestabile, fino a diventare “a diciannove capo del comitato rivoluzionario di Saint-Maximin; a venti segretario di Stanislao Fréron, uno dei fautori e dei capi della reazione del 9 termidoro… che… segnò la fine del governo giacobino; a ventitre deputato e membro del Consiglio dei Cinquecento, a ventiquattro Presidente del Consiglio dei Cinquecento, membro del Tribunato e Ministro dell’Interno; a venticinque ambasciatore in Spagna; a ventisette membro del Gran Consiglio della Legione d’Onore; a ventotto titolare della “Sénatorerie” di Treviri in Germania”.
Non che si sia svolto tutto secondo le regole, perché il giovane Luciano compie in questo periodo ben più di qualche marachella. Intanto nel presentare la sua candidatura falsifica i documenti, invecchiandosi di qualche anno, poi da Ministro degli Interni mette in atto un broglio elettorale di tutto rispetto, raddoppiando il numero di suffragi espressi nel plebiscito per la Costituzione del 18 febbraio 1800.
Nel frattempo aveva denunciato il suo amico Paoli e nel 1798 si era procurato un ingente quantitativo di denaro compiendo, a dire il vero con la complicità del fratello Giuseppe, un atto di pirateria in piena regola, ai danni di un mercantile turco.
Neppure come Ambasciatore in Spagna si comportò da gentiluomo e, ingordo come era di denaro facile, sollecitò la guerra tra Spagna e Portogallo solo per trarne sfacciati benefici economici, convinto fosse lecito approfittare di ogni occasione propizia, in barba alla morale.
Del resto non si era nemmeno fatto scrupolo, in passato, di esibire falsi documenti per poter celebrare il suo primo matrimonio, segreto, con Caterina Boyer, la figlia di un locandiere.
Un colpo di testa per nulla condiviso dal fratello generale che mirava a ben altri partiti e avrebbe voluto mescolare il sangue dei Bonaparte con quello di un blu più intenso delle prestigiose casate europee.
Quello della vita sentimentale di Luciano è il capitolo a un tempo più doloroso e più romantico della sua vita, ed è forse l’unico settore in cui la sua ribellione è stata piena e vincente.
Se il primo matrimonio, malvisto dal fratello despota, fu poi perdonato, dopo una struggente lettera a lui inviata da Caterina, Napoleone avversò sempre le sue seconde nozze, quelle con Alexandrine de Bleschamps, anche lei non nobile né ricca e, a quanto pare, nemmeno di specchiata virtù, con un puntiglio e un’acredine che avrebbero scoraggiato chiunque.
Ma lui, il ribelle, seppe tenergli testa e visse il suo amore, benedetto dalla nascita di ben dieci figli, fino alla fine, condividendo con la moglie interessi e passioni, quali il teatro, la poesia e l’archeologia.
Una scelta che scatenò l’ira furibonda di Napoleone, che si sentì defraudato del diritto di decidere della sorte dei familiari, accordatogli invece dagli altri fratelli che si erano lasciati manovrare docilmente.
Un mancato atto di sottomissione che a Luciano costò molto, pagandolo prima con l’esclusione dal diritto ereditario di famiglia e poi con l’esilio.
E dire che durante il colpo di stato del 18 brumaio 1799 Luciano, in qualità di Presidente del Consiglio dei Cinquecento, aveva salvato la vita all’illustre fratello!
Ma tant’è! La riconoscenza non è sentimento tra i più diffusi, specialmente in una famiglia come quella Bonaparte, in cui la ragione di stato ha sempre prevalso sulle ragioni del cuore.
L’affascinante storia di questo personaggio, tratteggiata in maniera come sempre gustosa e accattivante dall’autore, che riesce a mettere in fila una fitta sequenza di nomi e date che metterebbe in crisi qualunque cronista, sbrogliando la matassa senza strappare i nodi, ma sciogliendoli con arte sopraffina. Il risultato è quello solito: un racconto bellissimo ottenuto setacciando una enorme mole di materiale, che avrebbe scoraggiato chiunque, tranne lui, il nostro Cavoli, che ancora una volta non tradisce sé stesso. E neanche noi.
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